“Sono sempre stato preso in giro per essere grasso”: resoconti di bullismo nel calcio infantile. “I was always made fun of for being fat”: first-hand accounts of bullying in children’s football.

Flores Aguilar G., Prat Grau M., Ventura Vall-Llovera C., Ríos Sisó X. (2020). Physical Education and Sport Pedagogy.

Riassunto  Lo studio vuole esplorare le percezioni del bullismo nel calcio infantile con 9 sessioni di focus group (3 per ogni gruppo di partecipanti: giocatori, famiglie e allenatori) per conoscere: tipologia, cause, sede, sentimenti ed emozioni suscitate. I resoconti dei partecipanti mostrano l’esistenza di una vasta gamma di situazioni ed esperienze di bullismo e la necessità di un’azione immediata verso la prevenzione e l’eradicazione del bullismo nel calcio infantile.

Lo sport ha molti vantaggi ben noti. Non solo favorisce un migliore benessere fisico, mentale e sociale, ma può anche prevenire e ridurre il bullismo, se incorpora una forte componente educativa e crea ambienti di apprendimento sociale. Tuttavia gli studi dimostrano che almeno un terzo di tutti gli episodi, che si verificano al di fuori dell’ambiente scolastico, si verificano nello sport. Le vittime spesso abbandonano o cercano di passare a un altro sport meno organizzato o meno competitivo. Il bullismo si verifica più spesso negli sport di squadra che coinvolgono il contatto fisico, come basket, football americano, calcio e hockey, ed è particolarmente comune negli spogliatoi. I principali fattori di rischio descritti sono capacità atletiche inferiori, obesità o sovrappeso, disabilità o bisogni educativi speciali, appartenenza a una minoranza etnica e di orientamento di genere. Ulteriori fattori che ne aumentano la frequenza includono un ambiente altamente competitivo e le preferenze mostrate dagli allenatori. I maschi tendono a manifestare atteggiamenti più aggressivi rispetto alle femmine ed è più probabile che utilizzino un linguaggio omofobo, sia in ambito sportivo che scolastico.

Il bullismo è un fenomeno complesso: il suo studio richiederebbe un’ampia analisi del contesto socioculturale in cui si svolge. Un aspetto finora trascurato è la necessità di concentrarsi non solo sugli attori (“vittime” e “perpetratori”) ma anche sulle famiglie e sugli allenatori. Gli allenatori dovrebbero svolgere un ruolo proattivo nella creazione di un ambiente positivo che tuteli tutti i loro atleti dal bullismo; gli “spettatori” dovrebbero comprendere l’importanza del loro ruolo nella segnalazione dei casi e i club dovrebbero implementare campagne di orientamento, educazione e visibilità. C’è, inoltre, bisogno di politiche anti-bullismo.

Per implementare la limitata conoscenza sul fenomeno, è stato condotto uno studio attraverso focus group qualitativi su quattro squadre di calcio di bambini di 8-13 anni e un’accademia per allenatori collocate in diverse aree geografiche della Catalogna. Hanno partecipato allo studio un totale di 35 giocatori (età media 11 anni), 32 genitori e 40 allenatori. Lo studio ha confermato che il bullismo è argomento delicato e molto personale. Tuttavia, raggiunto un clima di fiducia, i resoconti dei partecipanti hanno confermato che il problema esiste davvero.

L’aggressione verbale sotto forma di insulti e soprannomi è la forma più comune di bullismo. Sono state individuate due cause: aspetto/caratteri fisici e livello di capacità atletiche, in particolare in situazioni di elevata competitività. Il sovrappeso era la ragione più frequente di bullismo verbale. Uno dei giocatori, ad esempio, ha detto “il mio compagno di squadra è vittima di bullismo perché è grasso”, mentre uno degli allenatori ha detto che “chiamare grasso qualcuno è lo scherzo più comune nel mio club”. Un altro allenatore ha ricordato che anche lui aveva subito bullismo da bambino: “Sono sempre stato preso in giro perché ero grasso”. In relazione alle capacità atletiche, un allenatore ha affermato che “il peggior giocatore della squadra, il giocatore meno abile, generalmente è vittima di bullismo”. Un altro allenatore ha affermato che “durante le partite, i bambini tendono a insultare i giocatori meno abili se fanno un errore”. I genitori hanno affermato che un ambiente altamente competitivo e la conseguente pressione erano fattori di rischio. In un ambiente eccessivamente competitivo, i giocatori sovrappeso, meno abili o di minor successo sono particolarmente vulnerabili al bullismo verbale o fisico e persino all’esclusione e all’isolamento. Gli scherzi, che sono una forma di bullismo fisico indiretto, sono presenti anche nel calcio infantile. Sia gli allenatori che i giocatori hanno affermato che è comune che gli abiti dei giocatori vengano nascosti o bagnati negli spogliatoi o nei servizi. Un’altra delle forme più comuni di bullismo individuate è l’isolamento e l’esclusione (bullismo sociale). Nonostante la giovane età dei giocatori di questo studio, ci sono stati anche alcuni resoconti di omofobia: i casi emersi evidenziano la vulnerabilità dei giovani calciatori LGTB (lesbiche, gay, bisessuali o transgender), costretti a scegliere tra lasciare il club o rischiare ulteriori atti di bullismo. I tre gruppi di intervistati hanno convenuto che la maggior parte degli episodi si verifica negli spogliatoi.

I partecipanti hanno anche parlato dei principali effetti emotivi dei diversi tipi di bullismo su vittime, bulli, spettatori, genitori e allenatori. Le principali emozioni descritte per le vittime sono state paura, tristezza, vergogna, apatia e impotenza. Il bullismo causa loro una grande sofferenza e di conseguenza ricorrono solitamente al silenzio e possono lasciare il calcio, ma può anche avere conseguenze più gravi, come ha raccontato una madre “gli insulti hanno fatto sì che mio figlio iniziasse a considerarsi grasso e smettesse di mangiare”.  Anche i bambini che assistono al bullismo “spettatori” possono avere paura e non parlarne apertamente. Il bullo è spesso identificato come capo squadra, figo, un esempio di “leadership tossica”, esattamente l’opposto di quello che ci si aspetterebbe da un leader, fonte di supporto e aiuto per la squadra. Genitori e allenatori sono spesso impreparati a riconoscere e affrontare situazioni di bullismo, e potrebbero quindi trarre vantaggio da programmi di educazione e prevenzione.

Interiorizzazione dello stigma sul peso in un campione commerciale di gestione del peso: prevalenza e correlati. Weight bias internalization in a commercial weight management sample: prevalence and correlates

Pearl RL, Himmelstein MS, Puhl RM, Wadden TA, Wojtanowski AC, Foster GD. Obes Sci Pract. 2019;5(4):342‐353. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31452919/?from_single_result=Weight+bias+internalization+in+a+commercial+weight+management+sample%3A+prevalence+and+correlates

Riassunto

L’interiorizzazione dello stigma sul peso (WBI) si realizza se le persone con sovrappeso e obesità fanno propri e indirizzano su sé gli stereotipi, i giudizi negativi, il disprezzo sociale e la svalutazione basati sul peso corporeo in eccesso. Lo stigma del peso interiorizzato è un costrutto relativamente nuovo che ha ricevuto crescente attenzione nel campo dell’obesità solo recentemente a causa delle sue forti implicazioni sulla salute. Ci sono svariate ricerche precedenti sul WBI, basate principalmente sull’analisi di piccoli campioni. Questo è il più grande studio finora realizzato, sviluppato su un campione di 18.769 partecipanti ad un programma commerciale di gestione del peso (il nuovo Weight Watchers).

Lo studio, attraverso un sondaggio online e l’uso di questionari validati, indaga la prevalenza e le correlazioni del WBI in un ampio gruppo di adulti che hanno aderito ad un programma di dimagrimento, rivelando dettagli circa l’insorgenza, la frequenza, le fonti dello stigma.

Lo stigma del peso interiorizzato in questo gruppo risulta nettamente più frequente rispetto alla popolazione generale. In particolare i livelli maggiori sono stati associati a:

  • etnia bianca
  • sesso femminile
  • giovane età
  • BMI più elevato
  • Insorgenza precoce del sovrappeso (nell’infanzia)
  • Basso livello di istruzione
  • Stato sociale di single/separato/divorziato (questo dato può derivare dalla natura protettiva del supporto sociale)

Appare significativo il momento della vita in cui la persona ha iniziato a subire discriminazione ponderale. Hanno livelli maggiori di stigma interiorizzato coloro che hanno avuto le prime esperienze continuative di derisione/umiliazione basate sul peso: nell’infanzia, da giovani, e quelle che continuato ad essere derise nel corso dell’ultimo anno. Tutte le fonti dello stigma risultano determinanti: familiari (genitori, nonni, zii, cugini, coniuge, figli), amici, posto di lavoro, scuola (compagni, insegnanti), personale sanitario (medico, infermiere, dietista/nutrizionista, professionista della salute mentale) e membri della comunità generale (commessi, camerieri, …). Fra tutti questi, lo stigma scolastico sembra però essere quello meno influente su questo campione di adulti. Data la rilevanza di WBI nella popolazione in cerca di trattamenti, e le sue evidenti associazioni negative sull’esito delle cure dell’obesità e sul cambiamento dei comportamenti, gli studi futuri dovranno indagare ulteriormente sulle modlità di gestione del peso tra coloro che si auto-stigmatizzano per sviluppare interventi capaci di mitigare gli effetti del WBI.

Chiusure scolastiche correlate alla pandemia COVID-19 e maggior rischio di incremento di peso tra i bambini. COVID-19 Related School Closings and Risk of Weight Gain Among Children

Rundle AG, Park Y, Herbstman JB, Kinsey EW, Wang YC. “C” Obesity (Silver Spring). 2020 Mar 30. doi: 10.1002/oby.22813. [Epub ahead of print]

La pandemia di COVID-19 sta causando sostanziali morbilità e mortalità, mettendo a dura prova i sistemi sanitari, chiudendo le economie ed i distretti scolastici. Mentre la priorità è mitigare il suo impatto immediato, si vuole richiamare l’attenzione sull’effetto a lungo termine della pandemia sulla salute dei bambini: COVID-19, attraverso le chiusure scolastiche, può esacerbare l’epidemia dell’obesità infantile e aumentare le complicanze legate al rischio di obesità. In molte aree degli Stati Uniti, come in molti Stati Europei e soprattutto nell’Italia Meridionale, la pandemia COVID-19 ha determinato la chiusura delle scuole. In breve, si prevede che quest’anno si raddoppierà il periodo extra-scolastico che potrebbe aggravare il rischio per l’aumento di peso, già noto nella pausa estiva, associato alla ridotta vita sociale, alla sedentarietà, all’uso degli strumenti eletronici.

COMMENTO

Proviamo a utilizzare tutte le possibilità per tenere attivi bambini e ragazzi negli spazi concessi e sfruttare il tempo che abbiamo per curare un’alimentazione di tipo mediterraneo,  fatta in casa, magari con il loro aiuto: può essere un gioco interessante! Ricordiamo che sempre, ora come dopo la quarantena, noi professionisti come noi genitori e nonni, siamo dei modelli e se il nostro stile di vita peggiora anche quello di bambini e ragazzi peggiorerà. Purtroppo prendere “cattive” abitudini è più facile che perderle. Se dovremo convivere col Coronavirus essere in salute sarà un fattore di protezione prezioso. Di questo virus sappiamo ancor poco, ma i suoi fattori di rischio sono l’età, per la quale non c’è terapia, insieme a fumo, eccesso di peso, pressione alta, diabete mellito tutte malattie che possono essere migliorate da un lavoro quotidiano di stile di vita più sano.

Linee Guida Europee incentrate sul paziente per la gestione dell’Obesità negli adulti nelle Cure Primarie. European Practical and Patient-Centred Guidelines for Adult Obesity Management in Primary Care

Durrer Schutz D, Busetto L, Dicker D, Farpour-Lambert N, Pryke R, Toplak H, Widmer D, Yumuk V, Schutz Y. Obes Facts. 2019;12(1):40-66. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6465693/

Riassunto

Per qualsiasi trattamento o problemi sanitario il primo contatto per i pazienti con obesità è generalmente con Medici di Medicina Generale. Pertanto, data la complessità della malattia, è essenziale continuare la loro educazione sulla gestione dell’obesità. Questo articolo mira a fornire linee guida per la gestione dell’obesità specificamente per i medici di base, favorendo un approccio pratico incentrato sul paziente.

L’attenzione si concentra sulla comunicazione medico-paziente e sul colloquio motivazionale, nonché sull’educazione terapeutica del paziente. Le nuove linee guida evidenziano l’importanza di evitare la stigmatizzazione, spesso documentata in diversi contesti sanitari. Inoltre, non bisogna trascurare la gestione degli aspetti psicologici della malattia, come il miglioramento dell’autostima, dell’immagine corporea e della qualità della vita. Infine, queste Linee Guida sottolineano ritiene che la perdita di peso massima nel minor tempo possibile non sia la strada per un trattamento efficace. Suggeriscono che una perdita di peso del 5-10% è sufficiente per ottenere sostanziali benefici per la salute grazie alla riduzione delle comorbidità.

La riduzione della circonferenza della vita dovrebbe essere considerata ancora più importante della perdita di peso in sé, poiché è collegata a una riduzione del grasso viscerale e ai rischi cardio-metabolici associati. Infine, la prevenzione permanente del recupero di peso è la pietra angolare del trattamento, per qualsiasi tecnica di perdita di peso utilizzata (trattamenti comportamentali o farmaceutici o chirurgia bariatrica).

Commento

Queste Linee Guida fatte da un gruppo di medici di varie nazioni di cui 3 MMG sono davvero degne di essere lette e per quanto possibile applicate nella pratica quotidiana del Medico di Famiglia sono openaccess su Pubmed. Affrontano quell’aspetto delle Cure che di solito viene trascurato ed in una malattia stigmatizzata come l’obesità rende impossibile ed inefficace qualsiasi “cura”.

Per renderle più fruibili anche ai MMG italiani le ho tradotte con alcuni collaboratori e adattate e si possono scaricare free dalla Rivista Medica Itaiana. Aspetto i vostri commenti!

Tanas R, Bonadiman L, Caggese G, Lera R, Busetto L. Curare l’adulto con obesità: Sostenibilità delle Linee Guida Europee per i Medici di Famiglia Italiani. Rivista Medica Italiana Online 2019;8:1-26 https://www.larivistamedicaitaliana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=88&Itemid=212

Obesità infantile e assenteismo scolastico: una revisione sistematica e una meta-analisi. Childhood obesity and school absenteeism.

An R, Yan H, Shi X, Yang Y. Obes Rev. 2017;18:1412-1424. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28925105

Riassunto

La frequenza scolastica regolare è un fattore determinante per il rendimento scolastico degli studenti, l’altezza dei livelli accademici raggiunti e lo sviluppo psichico e relazionale. L’obesità può influire sulla frequenza scolastica dei bambini, attraverso il suo impatto diretto sulla salute fisica e indiretto sui vissuti psicosociali.

Questa ricerca del Nanjing Sport Institute, Nanchino, Jiangsu, Cina, ha esaminato, attraverso tredici studi (10 trasversali e tre longitudinali) condotti in sette paesi (tra cui USA, Germania, Paesi Bassi) negli ultimi 10 anni, il rapporto tra peso corporeo in eccesso e assenteismo scolastico su un campione di 27974 bambini e adolescenti.

11 dei 13 studi hanno riportato un’associazione positiva statisticamente significativa tra sovrappeso/obesità infantile e assenze scolastiche.

La meta-analisi ha dimostrato che la probabilità di essere assenti da scuola era maggiore del 27% in caso di sovrappeso e del 54% in caso di obesità, rispetto ai compagni normopeso.

Gli studenti che frequentemente saltano giorni di scuola perdono le opportunità di interagire con coetanei e insegnanti, il che potrebbe favorire l’isolamento sociale e avere un impatto negativo sulla loro personalità in formazione. L’elevato numero di assenze può essere ricondotto ad una più alta vulnerabilità alle malattie, ma anche al fatto che i bambini con obesità sono presi in giro e vittime di bullismo più dei normopeso e hanno maggiori probabilità di soffrire di stigmatizzazione, depressione e bassa autostima. Questo potrebbe sostanzialmente indebolire la motivazione alla frequenza scolastica.

I risultati di questa ricerca potrebbero essere utili ai responsabili politici e scolastici interessati a progettare e attuare interventi efficaci che mitigano l’impatto dell’obesità sulla frequenza scolastica.

Commento

Questo lavoro sottolinea ancora una volta l’importanza della prevenzione primaria e secondaria dell’Obesità in età evolutiva con motivazioni spesso trascurate, quelle del benessere psicologico dei bambini e degli adolescenti. Prevenzione e terapia oggi troppo trascurate da una Sanità in affanno, che vanno impostate in modo nuovo: non stigmatizzante, proponendosi come obiettivi, non tanto la riduzione del peso, ma quella dello stigma, che ne deve essere parte centrale insieme al miglioramento dei comportamenti.

La discriminazione sul peso, infatti, è probabilmente la causa più forte di assenteismo, fino all’abbandono scolastico, e la sua riduzione è indispensabile per migliorare la salute ed il benessere futuro dei nostri bambini e adolescenti.

L’Obesità infantile nelle Cure Primarie. Pediatric Obesity in Primary Practice. A Review of the Literature

Jessica Durbin; Mitzi Baguioro; Donita Jones. Pediatr Nurs. 2018;44(4):202-206. https://www.pediatricnursing.net/issues/18julaug/abstr7.html

Riassunto

L’obesità infantile è un’epidemia, con conseguenze fisiologiche e psicologiche negative sulla salute. I professionisti delle cure primarie (PCP) possono impegnarsi nella prevenzione dell’obesità favorendo comportamenti sani positivi dall’inizio della vita. Fornire supporto e interventi basati sulle evidenze può consentire ai bambini di evitare le comorbidità dell’obesità. La revisione della letteratura  2012 – 2017 con le parole chiave “obesità infantile”, “attività fisica”, “dieta” e ” indice di massa corporea ha permesso di evidenziare 4 studi:

1) studio randomizzato di controllo sugli effetti di un esercizio di allenamento di 10 settimane di ragazzi obesi da 8 a 10 anni,

2) studio trasversale su 6.539 bambini di 9 – 11 anni sulla correlazione tra attività fisiche/comportamento sedentario e BMI/ tassi di obesità,

3) studio randomizzato su 5158 bambini di età 6 – 11 anni sugli effetti di un programma di camminata sul BMI,

4) revisione sistematica sull’efficacia del comportamento alimentare e motorio scolastico di 22 studi, su 7218 bambini / adolescenti di 6 – 18 anni.

I risultati di tutti gli studi hanno rivelato una riduzione dell’obesità quando un’attività fisica adeguata e pasti equilibrati sono stati incorporati durante l’infanzia. Integrare i risultati basati sull’evidenza in pratica può favorire la salute e il benessere dei bambini e ridurre i costi sanitari attribuiti all’obesità.

 

Implicazioni per la pratica clinica

L’intervento sull’obesità infantile in una fase molto precoce della vita promuove comportamenti di salute positivi instillando scelte di stile di vita sano che miglioreranno la salute generale e preverranno le complicazioni in adolescenza e in età adulta. La prevenzione deve iniziare al concepimento perché l’aumento di peso materno influenza l’aumento di peso neonatale. È necessario porre l’accento sul ruolo dei Pediatri di Famiglia (PdF)nella pratica clinica per ridurre questa malattia.

Una delle implicazioni di questa rassegna nella pratica clinica è l’importanza dello screening e della diagnosi dell’obesità e di altre condizioni di comorbidità da parte dei clinici. I PdF devono incorporare nella propria pratica uno screening regolare dell’obesità infantile, indipendentemente dalla valutazione periodica annuale. Questa routine dovrebbe verificarsi durante ogni visita di controllo. Lo screening annuale dell’obesità dovrebbe includere il calcolo del BMI e la valutazione con le carte di crescita dai 2 ai 18 anni e le soglie di sovrappeso e obesità in base all’età e al sesso del bambino, nonché il controllo della pressione arteriosa dai 3 anni. I medici dovrebbero proporre valutazioni di laboratorio a seconda dell’età, del BMI. Lo screening annuale deve includere la valutazione dell’alimentazione, dell’attività fisica e dei comportamenti sedentari del bambino, dei fratelli, dei genitori e caregiver.

I PdF possono condurre tecniche di intervista secondo i principi del Colloquio di Motivazionale con il bambino, i genitori e gli operatori sanitari. Questa tecnica è utile per ridurre gli ostacoli ed identificare le barriere che il bambino e il genitore o il caregiver potrebbero avere nei confronti di scelte alimentari sane e attività fisiche come tempo e vincoli finanziari, paura di lesioni, vincoli coniugali, sicurezza e altre condizioni mediche. Interviste motivazionali e lodi agli sforzi compiuti possono essere utilizzati dai clinici per incoraggiare il cambiamento del comportamento.

L’algoritmo di prevenzione e persino di gestione dell’obesità pediatrica si concentra sull’intervento di educazione e incoraggiamento dei bambini e delle famiglie a raggiungere un peso sano attraverso un equilibrio tra assunzione, attività fisica, riposo, sonno e tempo sedentario appropriato per l’età del bambino.

Raccomandazioni nutrizionali e di attività fisica per i bambini con obesità età da 2 a 4 anni includono l’evitare bevande zuccherate, come i succhi di frutta, incoraggiando il gioco libero per il maggior numero di ore possibile per ridurre l’attività sedentaria.

I bambini dai 2 ai 4 anni con BMI inferiore all’85 ° al 95 ° percentile dovrebbero mangiare da 1 a 1,5 tazze di frutta / verdura al giorno e avere meno di 2 ore di schermo al giorno (TV, computer, video giochi o cellulare).

Quelli con BMI superiore al 95° percentile sono incoraggiati a limitare l’assunzione di carboidrati mentre aumentano una dieta a basso indice glicemico (alimenti che impediscono l’aumento di glucosio nel sangue come grano integrale, avena, crusca, patate dolci, frutta, carote e altre verdure non amidacee) e 1 ora o meno di tempo per lo schermo al giorno.

Le raccomandazioni per tutti i bambini di età compresa tra 5 anni e l’adolescenza includono l’evitare bevande zuccherate e il facilitare 60 minuti di attività fisica moderata/ vigorosa. Quelli con BMI inferiore all’85 ° al 95 ° percentile dovrebbero mangiare da 1,5 a 2 tazze di frutta e 3+ tazze di verdura al giorno e limitare il tempo di schermo a 1-2 ore al giorno. Quelli con BMI superiore al 95° percentile dovrebbero limitare l’assunzione di carboidrati mentre aumentano la dieta a basso indice glicemico e limitare il tempo di visualizzazione a meno di 1 ora al giorno. Le attività fisiche possono includere prendere, lanciare la palla, correre, camminare, ballare, nuotare, andare in bicicletta e praticare sport (American Academy of Pediatrics AAP, 2016).

Un’altra raccomandazione è l’educazione familiare. Educare non solo il bambino, ma anche i genitori, i tutori e gli assistenti sanitari è una delle misure più efficaci per garantire l’aderenza e risultati di successo duraturi. I messaggi di prevenzione dell’obesità dovrebbero essere indirizzati ai genitori e ai caregiver del bambino perché le buone abitudini dietetiche e di esercizio fisico iniziano a casa (Babey, 2015). I genitori e i caregiver hanno influenze durature sulle scelte, che i bambini fanno. La consulenza e l’insegnamento di bambini e famiglie per limitare il consumo di bevande zuccherate, seguire una dieta con le quantità raccomandate di frutta e verdura, fare colazione ogni giorno e pianificare il più possibile i pasti in famiglia dovrebbe essere fornite ai bambini. L’importanza di evitare i fast food, adeguare le dimensioni delle porzioni all’età, evitare la televisione prima dei 2 anni, partecipare alla pianificazione e preparazione dei pasti familiari, fare shopping e impegnarsi in attività ricreative familiari che coinvolgono tutti dovrebbero essere ribadite perché sono essenziali nella lotta all’obesità. I genitori e gli operatori sanitari dovrebbero essere invitati e incoraggiati a creare buoni esempi per i loro figli, facendo scelte salutari e diventando dei buoni modelli per un percorso di benessere per i loro figli.

Conclusione

Gli operatori delle cure primarie sono fondamentali nell’aiutare e promuovere cambiamenti positivi nei bambini e nelle famiglie. La modifica dello stile di vita delle famiglie attraverso un’alimentazione sana e attività fisica può avere un impatto sul peso e sul benessere . L’attività fisica moderata di almeno 1 ora al giorno, nonché un’alimentazione equilibrata consistente in una riduzione della quantità di zucchero, grassi e bevande zuccherate, hanno contribuito a ridurre il BMI e così l’incidenza dell’obesità tra i bambini e gli adolescenti.

L’uso del BMI esclusivamente per misurare l’obesità ha dei limiti clinici. Ulteriori ricerche che utilizzano sia la percentuale di grasso corporeo che le misurazioni del BMI attraverso la tecnologia avanzata (bioimpedenziometria e densitometria) hanno una misurazione più diretta sul grasso corporeo e sui muscoli. Pertanto, tali metodi sono molto più precisi per il monitoraggio clinico dell’obesità e dello stato di peso nei programmi di ricerca e per la guida di politiche per promuovere un peso sano nei bambini.

La PDF italiana dovrebbe farsi avanti pe affontare con successo questo tema

 

 

Novità sulla cura dell’Obesità intesa come “malattia cronica”. Come affrontare lo Stigma sul peso e lavorare in Rete. R Tanas Lizzanello 13.07.2018

L’obesità in età evolutiva, come sottolineato dagli innumerevoli studi di etiologia, epidemiologia e comorbilità, sta compromettendo la salute della popolazione e la tenuta dei SSN di tutti i paesi. L’allocazione delle risorse intellettuali ed economiche, nonostante le ripetute raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) agli Stati membri è molto modesta e disomogenea. L’efficacia di progetti di prevenzione e terapia purtroppo è ancora scarsa con risultati piccoli sul BMI zscore, così pochi professionisti sono disposti ad investire nella formazione professionale e nell’organizzazione della cura e pochi pazienti sono disposti ad accettare le cure e seguirle per il tempo necessario1.

Si parla sempre più di medicina centrata sul paziente, di paziente empowered, anzi addirittura engaged nel suo piano di cura; tutti i professionisti sanitari cercano di realizzare la migliore relazione terapeutica col paziente. Davanti al problema “Obesità”, però, sembrano decisi ad arrendersi. I commenti sono ripetitivi: “non c’è nulla da fare”, “non si ottiene nulla”, “non c’è soddisfazione…”. Pare che non si trovi altro modo per affrontare il tema che ignorarlo, abbandonando così le famiglie ad un’autogestione inutile ed anche pericolosa.

Come realizzare allora Prevenzione e Cura precoce, sollecitata da tutte le Linee Guida e dalla nostra Consensus2 appena pubblicata?

La mia esperienza, in sintonia con la letteratura recente3, propone a tutti i professionisti sanitari 5 azioni:

  1. Accettare l’Obesità come “malattia”, anzi come “malattia cronica”4-5.
  2. Utilizzare l’Educazione Terapeutica del Paziente, proposta dal 1998 dall’OMS per la cura delle Malattie Croniche6.
  3. Migliorare la relazione con la famiglia e il paziente condividendo il principio fondamentale del Colloquio di Motivazione di Miller e Rollnick7, cioè il rispetto assoluto della loro libertà di scegliere.
  4. Affrontare/ridurre lo Stigma sul peso in ambito sanitario8-9, familiare e scolastico e contenere le sue conseguenze sulla salute fisica e psichica10 (Tabella 1).
  5. Imparare a lavorare in Rete11-12.

Tabella 1 Conseguenze dello Stigma sul peso sulla salute globale (10).

  1. Aumento del rischio di depressione, ansia, bassa autostima, comportamenti alimentari insani/estremi, insoddisfazione per il corpo, Disordini del comportamento alimentare e idee di suicidio.
  2. Aumento del peso, delle sue comorbilità, della mortalità per qualunque causa.
  3. Riduzione della motivazione all’attività motoria, richiesta di cure, intenzione di cambiare e self-efficacy.

In ambito sanitario lo stigma si associa a visite più brevi, messaggi più veloci e meno convincenti, maggiore distanza fisica medico-paziente.

 

Come fare la diagnosi (quali curve e cut-off utilizzare). Come comunicarla. Come valutare e comunicare l’andamento della malattia durante e dopo terapia.

Per curare una malattia con la collaborazione di una rete occorre definire e condividere con essa i criteri diagnostici. La definizione di obesità in età evolutiva non è ancora solidamente condivisa e si è evoluta negli ultimi anni; solo nel 2017 si è concordato di utilizzare il BMI zscore, calcolato secondo le carte del OMS 2006-2007 ed i suoi cut-off2,13 (Tabella 2).

Tabella 2 Diagnosi di eccesso ponderale secondo le Carte OMS 2006-2007 e Cut-off diagnostici secondo l’età del bambino13.

< 5 anni

●       Rischio di Sovrappeso     BMI zscore > 1 = 85°    pc

●       Sovrappeso                      BMI zscore > 2 = 97,7° pc

●       Obesità                             BMI zscore > 3 = 99,9° pc

 

> 5 anni

●       Sovrappeso                     BMI zscore > 1 = 85°    pc

●       Obesità                            BMI zscore > 2 = 97,7° pc

●       Obesità severa                BMI zscore > 3 = 99,9° pc

Su una malattia stigmatizzata come l’obesità la sfida maggiore resta la comunicazione della diagnosi, superando la mancanza di consapevolezza delle famiglie, elevatissima per i bambini più piccoli e le forme più lievi14, superando lo stigma sul peso e i sensi di colpa. Il tema dello stigma è stato recentemente molto valorizzato e studiato. Come parlare di obesità con le famiglie? Si consiglia un atteggiamento non giudicante e non colpevolizzante9. Il Counseling breve delle 5A modificate del network canadese per le cure primarie15 come l’Accademia Americana di Pediatria suggeriscono di chiedere il permesso di occuparsene prima di aprire l’argomento ed evitare parole deridenti, magari scegliendo quelle usate dalla famiglia stessa per parlare della loro “obesità”.

Un altro forte ostacolo alla terapia è la proposta di obiettivi irrealizzabili da parte dei clinici: chiedere al paziente di ottenere risultati sul calo di peso che, stando alla letteratura, quasi nessuno è riuscito a raggiungere16. Con l’avanzare degli studi, infatti, la medicina ha dovuto accettare quanto sia difficile dimagrire e quasi impossibile mantenere nel tempo il calo ponderale inizialmente realizzato: bisogna ridurre le attese professionali17. Se da una parte il rinforzo dei piccoli risultati raggiunti aiuta a mantenere il progetto e magari ottenerne maggiori, dall’altra il senso di fallimento per la ripresa del peso perduto è causa di perdita di fiducia e stima in se stessi e quindi di aggravamento della condizione clinica dei pazienti18.

Si suggerisce oggi di valutare l’esito della terapia sui comportamenti, sulle intenzioni del paziente a cambiare, sulla qualità percepita della vita senza focalizzarsi sui kg persi o da perdere: aiutare pazienti e famiglie a superare la delusione frequente di non vedere il peso tornare alla norma facilmente, in fretta e per sempre, ed evitare così di favorire comorbiltà, come ansia, depressione, disordini alimentari e l’introiezione dello stigma sul peso19.

Simulazione di un colloquio basato sulla Negoziazione di Brazelton per comunicare la diagnosi alla famiglia. Attori: un pediatra di famiglia, un genitore ed una bambina

Dato che la motivazione professionale è indispensabile al successo terapeutico20 e dato che non è facile ripartire con fiducia con un progetto di cura nuovo21, si è proposto ai pediatri di famiglia, delusi da tanti precedenti fallimenti, un colloquio basato sui principi di Brazelton e quelli del Colloquio di Motivazione22, mimato in aula con tre partecipanti nel ruolo di attori e commentato battuta per battuta dal relatore, per evidenziare le piccole differenze “magiche” con le quali il pediatra di famiglia può far nascere motivazione, là dove pareva non ci fosse neppure la minima consapevolezza del problema, e costruire insieme un progetto di azioni definite, fatto dalla madre e dalla bambina con la guida del professionista. È possibile ascoltare la simulazione iscrivendosi al corso su http://www.corsidiformazionecm.it/index.php/eccesso-ponderale-in-et%C3%A0-evolutiva-2017

Perle e Delfini: un progetto di cura, realizzato a Ferrara implementato e implementabile in altre sedi.

Il programma noto con il nome Perle e dei Delfini (metafore di due delle pochissime cose tonde ancora simpatiche ai più) è stato realizzato con successo dal 2000 presso la Pediatria dell’Azienda Ospedaliera di Ferrara, descritto dall’autore in varie occasioni23 e nei suoi particolari nel manuale Perle e Delfini

https://www.medicoebambino.com/_obesita_risultati_terapeutica_educazione_pediatra_bmi_adolescenti_terapia e https://www.ordinemedicife.it/bollettino-on-line/ Bollettino: I Disturbi del Comportamento Alimentare, https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/medicina-e-salute/397331/perle-e-delfini-2/. Esso rispetta il principio di non colpevolizzare, ma sostenere e far crescere la famiglia perché affronti il problema nella maniera più adatta e meno difficile per lei.

Il programma è svolto da un solo operatore che gestisce le collaborazioni professionali, quando necessarie, in maniera personalizzata, adattata cioè alle finalità di salute di ogni singolo bambino. È costituito da una fase di avvio in 4 tempi ed un follow-up coordinato con la famiglia e tutti i professionisti coinvolti. (Tabelle 3-6).

Tabella 3 Le tappe della cura “Perle e dei Delfini” con l’Educazione Familiare.

La fase di Avvio in 4 Tappe

  • Prima Visita.
  • Lettura del libro “Il Gioco delle Perle e dei Delfini”.
  • Incontro di gruppo per le famiglie e i ragazzi con invito alla lettura di “Perle e delfini per ragazzi”.
  • Visita di completamento diagnostico-terapeutico.

Il Follow-up

  • nel primo anno 1-2 visite
  • dopo il primo anno 1 visita o un richiamo telefonico/anno

Le Collaborazioni per il PdF / Medico di Base

  • Nutrizionista /Dietista: Colloquio dietologico
  • Laureato in Scienze Motorie: Attività motoria guidata e adattata
  • Team interdisciplinare: cure integrate per i casi gravi / resistenti.

Tabella 4 Gli strumenti per la cura

  • Cercare la buona relazione con famiglia e paziente
  • Chiedere il permesso di parlare di “Peso”
  • Evitare etichette stigmatizzanti: e. bambino obeso
  • Ascoltare i pensieri della famiglia sul tema in maniera non colpevolizzante e giudicante,
  • Suscitare e sostenere la loro motivazione.
  • Cambiare la loro storia: dai tentativi di cura del loro “problema bloccato”, incementato da colpa e ripicche, ad una storia nuova, fatta da loro, magari con esperienze già vissute, ora rivalutate. (Dammacco F: Autobiografia e Pensiero narrativo. http://www.acfriends.it/files/038_autobiografia_e_pensiero_.pdf)

Tabella 5 Temi dell’Incontro Familiare di Gruppo

  • Ridurre le Attività Sedentarie.
  • Aumentare l’Attività Motoria Piacevole.
  • Scegliere un’Alimentazione più Sana e Piacevole:
  • La prima colazione
  • Bere acqua e meno bibite dolci
  • La porzione
  • Il mangiare a casa, piuttosto che fuori casa.
  • Periodo Scolastico e Vacanze.
  • Rinforzo Positivo familiare di tutti i piccoli risultati.
  • Discussione degli obiettivi e proposta di obiettivi possibili e condivisi.

  Tabella 6 Obiettivi delle 4 tappe della fase di Avvio

  1. Valutazione del rischio personale in base
  • agli esami di laboratorio ed ecografici.
  • ai primi risultati comportamentali e obiettivi.
  1. Rinforzo positivo dei piccoli risultati iniziali ottenuti
  • Clinici (BMI ,acantosi nigricans, smagliature, glicemia, etc).
  1. Eventuale attribuzione di nuovi obiettivi concordati e personalizzati.

Caso clinico: La storia di “A”.

La presentazione dei vari tempi della cura, delle novità del programma e dei suoi ottimi risultati è esemplificata nel racconto di un caso clinico “A”: bambino di 9 anni, già seguito da 2 anni da altri nutrizionisti senza risultati e portato dai genitori per avere finalmente la “dieta dell’esperto”, quella miracolosa, quella che lo farà tornare “normale”. I miracoli che la “cura” proposta, pur senza dieta e forse proprio per questo, realizza nella vita di tutti i giorni di “A” sono descritti in un curioso romanzo “Un libro di @mail”: una raccolta di lettere della mamma alla pediatra nate dalla necessità di farsi dare “la dieta”, senza la quale secondo la famiglia non ci si può aspettare nessun risultato. I risultati sul peso, invece, sono comparsi solo dopo 18 mesi, il tempo giusto per quella famiglia per modificare i comportamenti di tutti i suoi componenti, cambiando tante cose nella vita del bambino: risultati bellissimi e persistenti anche sul peso fino ad oggi, dopo 4 anni! https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/biografia/333841/un-libro-di-mail/.

 

La Rete di intervento : Famiglia – Scuola- Pediatra di Famiglia-

Specialisti in genere e Team di 2°-3° livello.

Il bambino è immerso in un ambiente che lo condiziona e che, crescendo, potrà a sua volta modificare. Questo è il principio del modello ecologico di Bronfenbrenner24, che deve guidare il professionista nella cura.

Secondo il Modello Ecologico di Bronfenbrenner adattato all’obesità infantile24, ogni bambino con obesità ha una sua rete prossimale costituita dalla famiglia, dalla parrocchia, dal vicinato e dalla scuola. Sono importanti anche l’ambulatorio pediatrico e tutti i professionisti sanitari incontrati dalla famiglia per qualunque altro motivo, che vanno messi in rete perché lavorino in sintonia permettendo e facilitando l’adozione di stili di vita più sani, anziché disinteressarsi del problema peso o ostacolarne la cura con parole o toni di derisione e giudizio. Esiste poi la rete più lontana fatta di tradizioni, consuetudini, leggi che possono aiutare la soluzione del problema, anche se non sono modificabili rapidamente da parte di ogni singolo professionista. Solo dopo aver chiarito ciò si può prendere in considerazione la rete dei professionisti dedicati alla cura dell’obesità ed i livelli dell’assistenza sanitaria.

I tre livelli proposti per realizzare la terapia2,12 sono ben noti, ma ancora inesistenti in quasi tutte le città italiane: non è attualmente realistico parlare di 2° e 3° livello funzionanti. Anche là dove queste strutture esistono, risultano assolutamente inadeguate per tempi, professionisti e strutture dedicati rispetto al lavoro richiesto dalla pandemia. Il 1° livello ha il carico di lavoro maggiore: fare e comunicare la diagnosi, creare o sostenere la motivazione al cambiamento, realizzare un percorso di cura di 2-3 anni. Agli altri livelli resta solo il compito di curare i pazienti più gravi, resistenti e/o già complicati, con esiti e risultati ancora senza nessuna evidenza scientifica forte, davvero scarsi sul peso e inficiati da elevatissimi drop-out; in oltre questi 2° e 3° livello hanno l’importantissimo compito organizzativo e culturale di formazione continua della rete, raccolta dati, valutazione degli esiti, eventuali aggiustamenti del programma e ricerca.

Non essendoci giustificazioni plausibili per ulteriori ritardi, si propone per cominciare subito a cambiare rotta: sostenere le cure primarie, come già proposto dall’Accademia Americana di Pediatria 10 anni fa25. Essa prevedeva 4 stadi di trattamento, di cui i primi due in carico al Pediatra di Famiglia (PdF): il primo svolto dal PdF da solo ed il secondo, detto “Gestione Strutturata”, svolto dal PdF con l’aiuto di un nutrizionista/dietista e/o uno psicologo e/o un laureato in scienze motorie. Questi professionisti, tutti formati all’Educazione Terapeutica, al rispetto della persona e della sua libertà, e motivati a sostenerne autostima e self efficacy della famiglia in cura, saranno coinvolti dal PdF secondo le necessità di ogni singolo bambino.

Se avremo il coraggio e le forze di realizzare ciò vedremo risultati inimmaginabili! 

BIBLIOGRAFIA

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Una anzi due Storie che aiutano a capire. Donato G, Tanas R, Lera R.

29 Maggio 2018  Un Pediatra di Famiglia di Cuneo, Guido Donato, mi scrive una mail. “Cara Rita, Volevo leggessi queste due belle storie il cui merito è in parte anche tuo. Quando le ho raccontate a mia moglie mi ha detto: devi proprio scrivere a Rita!”  Guido è uno dei Pediatri di Famiglia ai quali ho offerto, sei anni fa, un percorso di formazione sulla terapia del bambino e del ragazzo con eccesso di peso. Da allora, per quelle strane alchimie personali e professionali, abbiamo iniziato a scriverci e vederci, quando possibile, durante eventi scientifici e non. Eccovi le due storie raccontatemi.

 La storia di S.  ”S. è una normalissima bambina di 8 anni – dice la madre – molto dolce, affettuosa e un po’ insicura, cresciuta normopeso fino all’età di circa 5 anni. Il suo problema risale agli ultimi due anni.” Al bilancio di salute, grazie all’intervento di Donato, i genitori di S. sono stati costretti a prendere coscienza del fatto che la bambina avesse dei problemi di peso, non gravi, ma c‘erano… S. è infatti “una bimba inizialmente in sovrappeso successivamente sfociata in obesità non grave, ma in rapido peggioramento”. I genitori non se ne erano accorti sino a quel momento? Probabilmente non era per loro un problema grande o meglio volevano far finta che non lo fosse. Alla comunicazione del pediatra, tuttavia, i genitori chiedono un ulteriore incontro per parlarne ancora…

La mamma, quell’incontro lo ricorda ancora molto bene: “Non nascondo il fatto che da mamma ci rimasi abbastanza male. Mi sentivo quasi come se fossi io la causa dei problemi di S. Mi sono sentita come una madre poco attenta, non buona, non in grado di scegliere il meglio per la propria bambina. Ricordo ancora l’amarezza che ho provato durante quel momento. Convinta com’ero che S. non andava matta per cibi ‘cattivi’, come caramelle o bevande gassate, immediatamente ho pensato che avremmo dovuto eliminare le cose buone che piacciono a tutti i bambini, come la carne impanata, le frittelle, il cioccolato… S. fino ad allora aveva un’alimentazione abbastanza normale, o perlomeno noi pensavamo così. Gradiva soprattutto pasta, affettati, carne, pesce, dolcetti, e molto cioccolato e la Nutella. Non gradiva assolutamente verdura, anche se mangiava il passato, formaggi, merendine, bevande gassate e caramelle. Noi fino ad allora ritenevamo davvero che avesse un’alimentazione abbastanza corretta…”

Il Pediatra, vista l’età di S., ha tentato di coinvolgere solamente i genitori che si sono rivelati bravissimi: hanno apportato alcune modifiche alle loro abitudini senza che la bimba praticamente se ne accorgesse. Anche loro erano in lieve sovrappeso, quindi il progetto andava bene per tutti.

La mamma racconta “sotto la guida del Pediatra ci siamo resi conto che per il bene della bambina si doveva cambiare qualcosa. Ma cosa? La mia paura più grande era quella che S. fosse presa in giro da compagni e amici, ma cosa ancora più grave che nostra figlia potesse sviluppare un disturbo del comportamento alimentare, magari nell‘età adolescenziale. Ricordo un episodio in cui la bambina arrivò a casa da scuola triste… Non subito, ma dopo un po’, mi disse che alcune compagne le avevano detto che lei non aveva la pancia “dritta” come loro. A soli 7 anni!! Noi cercammo di non dare troppo peso a questo episodio. Il pediatra ci diede alcune dritte: non dovevamo eliminare, ma ridurre ad esempio l’abitudine del dolcino a fine pasto, modificando invece altre abitudini, incentivando il movimento con passeggiate e sport. La cosa più importante era che S. NON SI ACCORGESSE DI NULLA! NON DOVEVA PERCEPIRE NESSUN CAMBIAMENTO SPIACEVOLE! Questo per non andare ad intaccare la sua autostima e quel suo essere molto sensibile, fonte di insicurezza. Con molte incertezze iniziammo questo nostro nuovo percorso! Non fu facile e i dubbi, in quei momenti, furono tanti

Nel programma terapeutico “Perle e Delfini”, che insegno ai Pediatri, si consiglia di non dare ai genitori consigli precisi su cosa fare. Consigli e prescrizione, infatti, danno l’impressione che non ci fidiamo di loro, oltre al rischio di suggerire loro le cose meno adatte. Debbono invece trovare la loro strada da soli e realizzarla nella loro vita. Ci riusciranno solo se ci fideremo davvero di loro e glielo dimostreremo accompagnandoli con garbo e sostenendoli con continuità.

La mamma di S. prosegue il suo racconto così: “Abbiamo cercato di ridurre un po’ i dolci, i condimenti, e le quantità”. E aggiunge “Dopo un po’ di incontri e qualche piccolissimo miglioramento, il Pediatra, pronunciò una frase che mi colpì molto! Si stava parlando dell’alimentazione ed io usai la parola “dieta“. Il Pediatra disse: la dieta, come comunemente viene intesa, non serve! La dieta in sé è una restrizione, un regime che fa male, che si riesce a rispettare solo per un po’ di tempo, poi ci si annoia, ci si stufa, ci si sente prigionieri e si molla. Effettivamente mi ritrovai molto in questa sua affermazione, anche per esperienza personale. Questa frase mi diede insomma uno scossone, una spinta più decisa a provarci con più determinazione. Da allora, quindi, provammo tutti ad imparare a mangiare in maniera più sana escogitando alcuni “trucchi”, rivelatisi poi effettivamente molto utili:

  • mettere in tavola tutto il pasto per poter mangiare tutti insieme, consapevoli del cibo consumato, assaporando il tempo trascorso insieme;
  • porzionare il cibo per tutti, secondo la regola “un po’ per uno non fa male a nessuno”;
  • consegnare a ciascuno la propria porzione di pane per il pasto, invitando ciascuno ad autoregolarsi (abbiamo inoltre iniziato a scegliere pane con meno grassi);
  • ridurre la quantità di olio, formaggio e condimenti in generale;
  • assaggiare tutti i cibi, anche quelli non graditi. Per S. inizialmente questo passaggio risultò difficile, ma con un po’ di incoraggiamento e soprattutto con gli elogi per averci provato questi tentativi sono diventati una specie di “gioco”. Quando capitava in tavola un cibo che assolutamente non piaceva ci complimentavamo con S. per averci provato e si abbandonava momentaneamente quel cibo;
  • scegliere un giorno della settimana per il dolce. Magari preparando una torta insieme e condividendola dopo un pasto!
  • stabilire insieme il menù della settimana, per alternare carne, pesce, uova e formaggi.

Infine, un altro punto su cui abbiamo lavorato parecchio è stato quello di “istruire” i nonni per quando S. si fermava a pranzare o cenare da loro. I nipotini secondo i nonni non mangiano mai abbastanza! Sono pronti a viziarli con dolciumi, gelato, cioccolato..: è questo un gesto affettuoso, ma involontariamente dannoso. Quindi abbiamo cercato di raggiungere un accordo con i nonni, senza stravolgere completamente e drasticamente i loro comportamenti verso la bambina.

I bambini accettano volentieri cambiamenti piccoli e graduali che diventano per loro una routine normalissima.”

Il Pediatra mi racconta che all’inizio ha incontrato questa famiglia due, tre volte, poi si sono sentiti solo via mail, poi nulla per vari mesi. Al successivo bilancio di salute, la bimba presentava un buon andamento del suo BMI, mantenuto ormai da un anno e mezzo, senza che si fosse accorta di nulla. I genitori avevano cambiato modo di alimentarsi per piccoli passi (senza diete, senza esami, senza visite specialistiche, senza idee illusorie e pericolosissime come perdere dieci kg in tre mesi e via dicendo) incrementando l’attività fisica sia con qualcosa di autogestito sia organizzato (pallavolo e nuoto).

Inoltre, mi scrive ancora il Pediatra: “La mamma, che conosco da quando S. è nata, con emozione mi ha ringraziato più volte confidandomi come anche lei da alcuni mesi facesse più attenzione a tante piccole cose, introducendo qualche altra buona abitudine in casa (per esempio una porzione fissa di verdura a tutti i pasti, verdura che ormai S. chiedeva e desiderava), senza perdere il senso del piacere di stare a casa e di mangiare bene insieme con alcuni tranquilli strappi alla regola. La madre mi ha confessato che lei stessa aveva perso nove Kg in quattro mesi, senza diete e prescrizione di alcun genere. Nella speranza che non cadessero nell’errore di autoprescriversi eccessive restrizioni. Mi sono sentito bene: ero felice per loro e per il mio lavoro”.

Abbiamo ricostruito la curva di crescita di S. Il suo BMI zscore è sceso da 2,3 =Obesità ad 1,3 =solo “sovrappeso”!

La mamma scrive ancora: “L’importante per la nostra famiglia è stato cercare di attuare questi cambiamenti in maniera graduale, piacevole, non stressante, ma soprattutto TUTTI INSIEME E TUTTI D’ACCORDO. Per noi è stato molto gratificante il giorno in cui S., spontaneamente, ci ha chiesto la sua porzione di pomodori! Capisco che possa sembrare solo un piccolo traguardo, ma, per una bambina che non mangiava assolutamente pomodori, è stato un bel passo in avanti! Un altro aspetto assai importante per S. è stata l’attività fisica. L’aveva iniziata già a 4 anni passando poi ad uno sport di squadra, perché l’autostima e la timidezza ne potessero uscire migliorate. Secondo noi è stato importante scoprire questa sua voglia di cambiare e sperimentare più attività, provando cose nuove, senza il rischio di annoiarsi e di “montarsi la testa”; vorrei infatti che mia figlia si divertisse, senza cercare di diventare una campionessa!”

E conclude “Questa è stata a grandi linee la nostra piccola esperienza, ancora in essere in realtà, anche perché, come ho detto prima, ormai è diventato per noi un stile di vita normalissimo, dal quale abbiamo tratto vantaggio un po’ tutti. In pratica un miglioramento della scelta dei cibi, del modo di cucinarli (ad esempio la cucina a vapore) con la scoperta di nuovi sapori, che adesso fanno parte del nostro quotidiano. Un altro beneficio raggiunto è stato il miglioramento del peso, anche di noi genitori, con conseguente aumento dell’autostima e della voglia di continuare! Quindi solo uno Stile di vita alimentare più sano, arricchito da una buona attività fisica (sport o anche più semplicemente passeggiate, pedalate, nuotate, gite fuoriporta nei weekend con la famiglia al completo); la nostra ‘ricetta’ è tutta qui!

La storia di A.  La mamma di A., una ragazza di 11 anni, un bel giorno mi manifesta l’interesse di prendersi cura dell’ingravescente sovrappeso della figlia. Iniziamo così una serie di incontri, più o meno trimestrali, in cui insieme proviamo a mettere in pratica il solito programma Perle e Delfini, condividendo piccole scelte e piccoli obiettivi da realizzarsi nel gruppo familiare, valutando i possibili episodi di derisione. Unico accertamento richiesto: un incontro ogni 3 mesi circa. A. è un ragazzina sedentaria e un po’ timida, per cui ci concentriamo soprattutto su qualche piccolo cambiamento alimentare: riduzione del formaggio, poi dello zucchero nei dolci; in un’altra occasione ci occupiamo dei condimenti e così via. Inoltre cerchiamo di incrementare l’attività fisica. L’arrivo di un cane in casa porta A. ad uscire un po’ di più, passeggiando con la famiglia. Nei primi mesi il BMI scende di un punto (prima stava salendo rapidamente), poi ai controlli successivi ha una discesa più lenta con alti e bassi. Nel frattempo il papà, già in sovrappeso, smette di fumare e acquista molti chili. Rivedo A. dopo 4 mesi: ha preso circa 5 kg, ma si sta sviluppando e so che questo non aiuta le ragazze; lo spiego alla famiglia e non stresso molto la faccenda. Parliamo piuttosto di cosa fare.

Rivedo A. dopo 6 mesi e subito mi accorgo che è un po’ più snella. In effetti è cresciuta di qualche cm e ha perso quasi un Kg. Ma c’è un’altra novità: questa volta la accompagna il padre e lui di chilogrammi ne ha davvero preso tanti, direi quasi una ventina. Non fuma più, ma è francamente obeso. Tuttavia, mi dicono che hanno comprato una cyclette e che la usano tutti e due un po’ per uno. Il padre mi “confessa” che, da qualche tempo, A. lo coinvolge e quasi lo “obbliga” a fare qualcosa (Per esempio: la domenica scorsa volevano vedere la partita in paese e la figlia non gli ha permesso di prendere la macchina: sono andati a piedi). Ruoli che si invertono, buone abitudini che contagiano!! Sono felice! Questa storia continua ancora. A. è più contenta, ha evitato l’obesità, ridotto il BMI in un’età in cui la pubertà lo fa crescere fisiologicamente e l’adolescenza rende più difficile qualunque tipo di cura. Il tutto senza diete ed esami e, a dire di A., senza fatica o ossessioni di vario tipo. Il BMI zscore è passato da 2,3 in ascesa a 1,6 stazionario.

Sentite come A. racconta questa sua storia: “Ho iniziato il percorso per migliorare la mia alimentazione nell’autunno 2016; avevo 11 anni ed ero in sovrappeso. Quando il mio Pediatra me l’ha fatto notare ci sono rimasta male. Dentro di me mi rendevo conto di essere più robusta degli altri, però mi pesava che me lo dicessero. Abbiamo cominciato una serie di incontri per affrontare il ‘problema’ in maniera molto tranquilla. Con il dottore decidevamo di volta in volta piccole cose da fare per ridurre un po’ le calorie. Senza però che  la faccenda mi riuscisse difficile. Ho incontrato una sola volta una dietista che mi ha spiegato come mangiare meglio, senza patire la fame. Il mio problema più grande infatti è che adoro mangiare e mi piace praticamente tutto. Il percorso è stato lungo, ma non pesante; ogni volta che si aggiungeva un ‘passo’ in più, gli altri erano già diventati per me normali. E’ un lavoro che ho fatto con tutta la mia famiglia perché abbiamo stabilito nuove regole alimentari che hanno coinvolti tutti, così che io non mi sentissi ‘diversa’.  Mi è servito molto leggere il libro che mi ha consegnato il mio Pediatra “Perle e Delfini per ragazzi”, prima di tutto perché ho capito che il problema non è solo mio e poi perché mi ha dato molti spunti per andare avanti. Per esempio è stato importante l’utilizzo del contapassi. Io non amo lo sport e sono molto tranquilla e sedentaria. Il contapassi mi ha invogliato a muovermi di più cercando ogni giorno di battere i miei record. I miei genitori, inoltre, mi hanno regalato un cagnolino con cui mi piace fare passeggiate.

Ci sono stati anche momenti di delusione e rabbia agli appuntamenti in cui non ero migliorata o anzi addirittura peggiorata, ma né il mio Pediatra né la mia famiglia me l’hanno mai fatto pesare o valutare come una colpa. Anzi mi hanno dato nuovi consigli e sostegno per non rinunciare. Ora ho 13 anni e sono contenta di avere seguito questo percorso. Non sarò mai una modella, ma mi piaccio così come sono adesso!

La lettera del Collega concludeva così: Rita, queste due belle storie sono anche tue, perché mi hai trasmesso con piacere e generosità una parte importante del tuo sapere e della tua esperienza. E’ proprio vero, almeno in questo campo (ma credo anche in altri): molte persone hanno solo bisogno di essere rispettate nelle loro scelte, sostenute, incoraggiate e aiutate a non commettere grossi errori che potrebbero farli soffrire. Ovviamente non sempre le cose vanno così bene: a volte la gente si perde per strada, a volte preferisce altri percorsi, altre volte ancora non si accorge o non vuole accorgersi del problema, oppure purtroppo trova un operatore non all’altezza. Siamo tutti liberi e tutti condizionati da noi stessi e dal mondo esterno. L’importante è lasciare sempre la porta aperta accogliendo le persone con un sorriso e un po’ di affetto. Il resto lo sanno fare loro! Come ti ho sentito ripetere spesso in formazione: ‘Non sono vasi da riempire, ma fuochi da accendere’. Un grande abbraccio, a presto. Guido”

Ed io cosa posso aggiungere?  In questa storia i più attenti potrebbero cogliere un denominatore comune tra i vari personaggi (Pediatra “formatore, Pediatra di famiglia, genitori, bambina e ragazza): per una qualità di vita migliore la disponibilità al cambiamento. Sensazioni di colpa e inefficacia potrebbero essere raccontati da tutti: il formatore che non riesce a trascinare al cambiamento gli operatori sanitari, questi che a loro volta non riescono a coinvolgere le famiglie a seguire stili di vita più sani, i genitori in lutto per la perdita del bambino ideale e infine i bambini che si confrontano con una corporeità difficile da accettare, sentendosi goffi, impacciati e derisi.

Ma se si accende una scintilla che anima un fuoco interiore, nasce una fiducia reciproca che permette di mettersi in gioco di nuovo nella relazione. Non sempre la relazione funziona e spesso la tentazione dell’abbandono è alta: non tutti siamo pronti alle sfide ed a sincronizzare i nostri impegni. Ecco, forse la magia sta proprio nella sincronizzazione: tutti, alla fine, scopriranno il potere dell’autostima e autoefficacia. L’obiettivo del peso è in realtà solo una parte del risultato: il vero obiettivo è proprio il miglioramento della qualità della vita.

Ognuno, in una relazione paritaria, tira fuori il meglio di sé, senza prescrizioni, utilizzando parole e azioni “sostenibili”; alla fine… nessuno è più uguale a se stesso e tutti sono cambiati.

Come concludere?  Questa pagina a più mani è stato un regalo prezioso per i miei 65 anni! Il mio progetto lo hanno raccontato così bene il Pediatra e le sue due famiglie! Una cura “nuova” che non spiega cosa “devi” e “non devi” mangiare, cosa “devi” e “non devi” fare, ma fa crescere con amore un progetto di salute possibile per ogni famiglia al fine di aiutarla ad operare le scelte migliori per sé. Non aggiungo altro; chi volesse saperne di più può scrivermi e sarà esaudito.

Condurre un ambulatorio con problemi di obesità è un’attività che mi da ancora, dopo 45 anni, molta soddisfazione perché vedo rinascere il sorriso nei bambini e nei loro genitori, a volte fra lacrime finalmente accolte.

Costruire formazione sull’obesità è un’esperienza entusiasmante! Purtroppo la maggior parte dei colleghi, prima di incontrarmi, non ha nessuna voglia di parlare di questo tema, che reputa, come molti, fallimentare. Dopo, pur contagiati dal mio entusiasmo, hanno una certa paura a provarci, soli fra la derisione e la sfiducia generalizzata di tanti. Temono di non essere all’altezza!

E così spesso si perde di vista un progetto che potrebbe dare tanto sia alle famiglie che ai professionisti, anche a quelli che, come me, pur con poche doti comunicative di partenza, si vogliono cimentare in un campo dove qualche minuto di “ascolto empatico” fa miracoli!

Qualità della vita correlata alla salute in bambini e adolescenti con obesità severa dopo un trattamento intensivo di stile di vita e follow-up di 1 anno. Health-Related Quality of Life in Children and Adolescents with Severe Obesity after Intensive Lifestyle Treatment and at 1-Year Follow-Up.

Hoedjes M, Makkes S, Halberstadt J, Noordam H, Renders CM, Bosmans JE, van der Baan-Slootweg OH, Seidell JC.

Obes Facts. 2018;11(2):116-128. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29631271

 

OBIETTIVO: esaminare i cambiamenti nella qualità della vita correlata alla salute (HRQoL) nei bambini e negli adolescenti con obesità severa che partecipano a trattamenti intensivi di stile di vita e valutare se i cambiamenti del BMIzscore si associano a quelli della HRQoL.
METODI: 120 bambini e adolescenti (8-19 anni, età media 14,8± 2) con obesità severa (BMIzscore ≥ 3.0 o ≥ 2.3 con comorbilità legata all’obesità) hanno aderito ad un trattamento intensivo sullo stile di vita di 1 anno. Il trattamento consisteva di un periodo di ricovero nei giorni feriali per 2 mesi, seguito da una visita ogni 2 settimane per 4 mesi e una ai 12 mesi con un team presso un centro specializzato per l’obesità infantile.

RISULTATI: Dopo il trattamento il BMIzscore è calato in maniera statisticamente significativa in media di 0,33, anche se dopo 1 anno il calo si è ridotto a 0,20; contemporaneamente si sono registrati miglioramenti statisticamente significativi nei punteggi di HRQoL generici e correlati al peso, mantenuti nonostante il parziale recupero di peso a 12 mesi. La perdita di peso correlava con i miglioramenti solo per i domini relativi alla salute fisica, non negli altri domini.

Conclusioni: bambini e adolescenti con obesità severa dopo un trattamento intensivo di stile di vita in degenza hanno migliorato la HRQoL generica e correlata al peso a lungo termine. Il miglioramento non era correlato al calo ponderale.

 

RIFLESSIONI sui 2 articoli europei: LOGIC tedesco ed HELIOS olandese

Scrivere lavori sul trattamento di bambini e adolescenti in eccesso di peso è difficile.

Difficile arruolare le famiglie e farle aderire a progetti di cura lunghi e complessi, difficile riuscire a rivalutare i pazienti per evidenziare gli effetti a distanza di 1-2 anni dalle cure. Difficile trovare un parametro che sia significativo di tutte le conseguenze sulla salute di questa patologia. La maggior parte degli studi si focalizzano sulla riduzione del BMI zscore: trovare un calo ponderale significativo e stabile dopo la cura è quasi impossibile, soprattutto per gli adolescenti e i bambini con obesità severa. Forse per questi motivi la cura, che oggi si propone, con team multidisciplinari, manca ancora di evidenza scientifica di efficacia.

Curanti e curati così finiscono col perdere fiducia nei risultati, i primi se ne lavano le mani mentre i secondi continuano a vedere moltiplicato il loro rischio cardio-metabolico.

Ma alcuni autori propongono la qualità della vita correlata alla salute come obiettivo più adeguato alla valutazione dell’efficacia della cura, secondo il concetto allargato  di salute come benessere generale della persona da anni proposto dall’OMS. Questi 2 articoli europei recenti ci permettono di scoprire che per i bambini e ragazzi con obesità, anche se severa, la qualità della vita migliora in tutte le sue sfaccettature e persiste migliorata per molto tempo, pur se il BMI zscore in media cala poco o per nulla o cala e poi torna ad aumentare.

Guardiamo i nostri pazienti con attenzione durante la cura, scopriremo un nuovo sorriso, la cura dell’aspetto e dell’abbigliamento, la voglia di incontrarci e raccontarsi e capiremo che non è vero che “TRATTARE GLI OBESI NON DA SODDISFAZIONE e si perde solo tempo”, come ancora oggi purtroppo pensano moltissimi professionisti della salute.

Qualità della vita (QOL) e attività fisica nei bambini e Adolescenti 2 anni dopo un programma di dimagrimento ospedaliero. Long-term effects of an inpatient weight-loss program in obese children: the LOGIC-trial.

Melanie Rank, Desiree C. Wilks, Louise Foley, Yannan Jiang, Helmut Langhof, Monika Siegrist, Martin Halle.

J Pediatr 2014;165:732-7. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25039048

Obiettivo dello studio Indagare i cambiamenti nella qualità della vita relativi alla salute (HRQoL), BMI, attività fisica e comportamento sedentario 24 mesi dopo un programma di dimagrimento.
Disegno  Lo studio riguarda 707 adolescenti in sovrappeso e obesità (età media, 14 ± 2 anni, 57% femmine) che hanno partecipato a un programma di dimagrimento ospedaliero di 4-6 settimane (Alimentazione di 1200-2800cal/die; 1,5 h/die di esercizio e 1 h/die di gioco attivo), 381 di questi ragazzi hanno completato il follow-up previsto a 6, 12 e 24 mesi. HRQoL, attività fisica, comportamento sedentario e BMI sono stati valutati all’inizio, alla dimissione e 6, 12 e 24 mesi dopo la degenza.

Risultati Tutte le variabili sono migliorate dopo trattamento e al follow-up di 6 mesi (P <.05). A 24 mesi, l’HRQoL complessivo indicava miglioramenti rispetto al basale (3 punti su una scala di 0-100; P <.001). Il miglioramento è stato osservato soprattutto per l’autostima (11 punti, P <0,001). Ai 24 mesi il BMI era inferiore di 0,5 rispetto al basale (P = 0,04) lo zscore di 0,20. I cambiamenti a lungo termine nell’attività fisica spiegavano il 30% della variazione complessiva di HRQoL (P = .01). Il cambiamento del BMI non correlava con quello della QoL.
Conclusioni Questo programma è stato associato a cambiamenti positivi di HRQoL a lungo termine, soprattutto dell’autostima. I risultati indicano il ruolo potenziale dell’attività fisica nel migliorare la qualità della vita pur senza un sostanziale cambiamento nella composizione corporea.

 

Commento Questo studio ci dice cosa succede alla qualità della vita molto tempo  dopo la terapia. Come in altri studi l’adesione al programma è ridotta, quella al follow-up molto ridotta (solo il 54% dei soggetti ricoverati), il calo ponderale significativo ma modesto (BMI zscore -0,20) ed i cambiamenti a distanza dello stile di vita inconsistenti. La Qualità della Vita, inizialmente ridotta rispetto a quella di adolescenti normopeso, è migliorata.

Proprio il miglioramento dell’autostima in età adolescenziale ci deve sostenere a continuare a occuparcene con sempre maggior competenza.